mercoledì 25 marzo 2015

Brutto e cattivo? Non lo voglio sapere.

Televisione e giornali sono diventati un mostruoso accumulatore di notizie e approfondimenti sulle peggiori vicende dell’essere umano. Si presentano storie terribili, genocidi, tagliagole, omicidi, suicidi, vittime picchiate o scomparse,.
Apro ora l’home page di un quotidiano locale: ci sono due fidanzati uccisi per vendetta, una bimba di 4 anni molestata dal padre, un’anziana signora alla quale sono state fratturate le dita per rubarle gli anelli, un conflitto a fuoco per rapina, una donna morta dopo un’operazione per dimagrire, un giostraio bastonato, una sedicenne costretta a prostituirsi a politici e imprenditori, due giovani uccisi da pirati della strada, un quindicenne suicida, la badante che raggira un anziano cieco, due missionarie uccise, un lavoratore ucciso dal titolare dell’azienda. E questa è solo cronaca. Non apro siti di approfondimento politico o economico perché non voglio farmi venire l’ansia proprio ora che me ne sono liberato.
Eppure queste sono le notizie che fanno crescere i click. Le trasmissioni che analizzano delitti e misfatti in prima serata sono quelle che tengono lo spettatore incollato allo schermo, che poi animano le discussioni al bar.
Mi chiedo perché.
Cosa c’è di tanto bello nell’infliggersi il male?
Ciò che vediamo e ciò che leggiamo sono stimoli che il nostro cervello acquisisce e trasforma in sensazioni ed emozioni. Dunque a che scopo acquisire stimoli negativi? Perché far proprie atrocità altrui  quando dovremmo invece tendere alla felicità? Non sarebbe più logico cercare buone notizie e parlare di cose belle?
Stessa cosa per le informazioni economiche, politiche e di geopolitica. La vita di tutti i giorni non ci dà già delle preoccupazioni? Il conto corrente sempre più magro, la bolletta che cresce, la scuola che non ha risorse… da comune cittadino sono cose che tocco e che mi preoccupano, perché dovrei anche conoscere le sfighe altrui?
La politica ruba risorse al paese. Lo so. Lo vedo. Non serve che io sappia quanto e chi.
Perché sapere mi fa stare peggio.
L’altro giorno mi han chiesto se ho visto il servizio delle Iene sull’Isis. No, non l’ho visto e non lo voglio vedere. Preferisco restare ignorante.
L’ignoranza mi protegge.
L’ignoranza protegge fintanto che gli argomenti non toccano da vicino, e fintanto che il singolo non può far niente per cambiare le cose, o fintanto che il singolo non decide di partecipare a movimenti collettivi.
Se dovesse toccarmi una tragedia allora affronterei tutto con la massima energia, se potessi risolvere il problema delle pensioni insufficienti allora studierei tutti i casi possibili, se avessi anche la minima possibilità di fermare il fanatismo religioso che degrada in violenza mi informerei e lo farei, se mi trovassi davanti un politico corrotto e potessi obbligarlo a restituire il maltolto lo farei. E così via.
Ma se tutto ciò è al di fuori delle mie possibilità d’azione perché devo interiorizzarlo?
Non si tratta di voler nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, semplicemente si tratta di selezionare gli stimoli esterni per salvaguardare quelli interni, di canalizzare le energie alla ricerca del benessere e della serenità.
Ovviamente la sensibilità è soggettiva.
Io preferisco non vedere i film horror perché mi fanno paura. La paura mi provoca brutte sensazioni, un senso di malessere. Già ho paura se mi capita di aver paura, perché dovrei cercare di aver paura guardando un film?
Non biasimo i produttori televisivi o i giornalisti, ma gli spettatori e i lettori. E’ una questione di domanda e offerta: se nessuno guardasse i film di paura che senso avrebbe produrli?
Insomma, proprio non capisco questa diffusa ricerca del brutto, del cattivo, del male.

E non trovo chi me la spiega.

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