giovedì 9 febbraio 2017

Fuori posto

"Quanta fatica per salire in cima per poi scoprire che c’è poco ossigeno e non si respira"
[da Piccole cose - J-Ax, Fedez, Amoroso]

domenica 5 febbraio 2017

Il privilegio di essere uomo.

Immagina. 
Un giorno come tanti: ti sei vestito, hai fatto colazione, ti sei lavato viso e denti, sei salito in auto, hai acceso la radio e  via, percorri la strada verso l’ufficio, sempre quella, non puoi sbagliare. La routine ti dona la leggerezza dei gesti automatici. 
Godi di questa leggerezza e non ci pensi. 
Sai cosa farai, a che ora pranzerai, quando tornerai, chi incontrerai. Il meccanismo è attivato, ti muovi in un sistema preconfezionato, e sei sereno. 
Potresti andare avanti così all’infinito, senza troppo pensare.
L’incrocio: giri a destra, è più semplice che svoltare a sinistra, giri sempre a destra, così guadagni qualche minuto e rischi di meno. La strada è trafficata, ma si corre: se la strada è dritta non c’è motivo di fermarsi. Il benzinaio, in caso di bisogno è lì. La solita leggera salita, acceleri un po’. Il dosso: sali qualche metro e vedi la pianura che si estende tutt’intorno, illuminata da quei minuti di eccezionale potenza del sole che sorge. Strade che si incrociano tagliando i campi e si sovrappongono sfidando gli alberi, auto che si muovono, balconi che si aprono, uccellini che sfrecciano a tre metri da terra,  irrefrenabili.
Il sole che nasce scuote la vita, gli uomini si animano, gli uccellini si animano. 
Pochi secondi sopra il dosso, osservi.
Connessioni elettriche nel tuo cervello. Strano. 
Gli uccellini. Gli uomini. Si muovono entrambi attorno a te, il mondo è vivo intorno a te. Gli alberi sono lì, a bordo strada, immobili ma vivi. La terra ospita insetti e piccoli animali che non vedi, ma son vivi. Ignari di ciò che tu pensi.
Gli uccellini, frenetici di primo mattino, hanno fame e cercano cibo, devono proteggersi e cercano spighe, per il nido. Avranno uno scopo? Avranno un progetto? Agiscono semplicemente per un’istintiva necessità di sopravvivenza e prosecuzione della specie.
Gli uomini cercano cibo e protezione, ma anche altro.
Cosa?
Tu? Cosa cerchi? Chi sei? Dove sei? Dove stai andando? Perché?
Perché mi pongo queste domande? Questo è stato il quesito che ha portato la consapevolezza.
La consapevolezza è arrivata così, è stato emozionante.
Apri il finestrino: il cielo è azzurro, le nuvole bianche, la luce del sole scalda l’aria ancora frizzante.

È bello il mondo.
È bello percepire il mondo. È bella la natura, è bello molto di ciò che l’uomo vi ha costruito, è bello che tu possa capire che tutto ciò è bello.
Potresti essere un uccello, un albero, una nuvola. Invece sei un uomo. Per caso, o per motivi che sfuggono ai più, hai quella scintilla che gli uccelli, gli alberi e le nuvole non hanno. È una gran fortuna, perché solo da uomo puoi percepire la bellezza del mondo, comprendere la fortuna di esserci, poter godere di esso, poter provare emozioni.
Sei una briciola nell’universo, ma c’è un intero mondo dentro te.
Dunque che ti importa dove stai andando, che ti importa del perché?
Vivi ora, dove sei, sii felice di esserci, di esserci da essere umano, di avere la consapevolezza di te e di ciò che ti circonda. La vera fortuna è questa.
La tua vita potrebbe essere solo cacciare, raccogliere, mangiare, riprodurti e riposare. Invece hai avuto il tempo e la capacità di leggere queste righe, comprenderle, criticarle o condividerle. 
La ricchezza della vita.
La fortuna di essere umano. 
Anche tu sei un privilegiato.

venerdì 25 novembre 2016

Sonisphere 2015


Barbabionda guida e muove la testa a ritmo di musica metal.
Barbanera sorseggia acqua, saranno i Pantera.
Barbalunga impreca ed ha il caldo. Il condizionatore non basta, ha un asciugamano sulla testa per raccogliere gocce di sudore. Sia mai macchiare i sedili con il suo sale. Oltre cento chili, tutti suoi.
A turno mandano a quel paese la voce del navigatore. Dovevano uscire ad Assago, ma han fatto pipì a Brianza nord. Poi han sbagliato qualcosa e in centro a Milano la signora elettronica non è aggiornata sulle nuove strisce d’asfalto che agevolano Expo 2015.
Barbanera si idrata per il caldo, per la birra e per l’emozione.
Brutti scherzi nel corpo di Barbanera: se c’è ansia se la fa sotto. In mattinata è andato in bagno ben cinque volte, fino a far uscire acqua da dove non la si aspetta. Gli son venuti i crampi al basso ventre, e quindi giù di ibuprofene.
L’ansia lo divora finché non comincia a fare ciò che deve. Per questo odia le attese e ama l’azione.
Eppure doveva essere solo gioia e trepidazione: il concerto del suo gruppo preferito con i due amici che conosce dall’infanzia.
L’obiettivo è preciso: portare a casa il ricordo dei Metallica live.
L’occasione con le sue canzoni di sempre, la sua unica collezione di CD originali. Il suo primo vero grande concerto, dopo aver rinunciato nel 2009 e nel 2012: Festival Sonisphere, 2 giugno 2015, summer Arena, Assago.
Vale trecentocinquanta chilometri di autostrada e duecentosettanta euro pagati con quattro mesi d’anticipo.
Barbabionda: «Chi ha una caramella?».
Risponde Barbanera.
Barbalunga: «Non è possibile! Ti invidio, cazzo, hai davvero tutto!»
La voce del navigatore li ributta in tangenziale.
Barbabionda: «Ok, ragazzi, ci siamo!»
In coda verso il Mediolanum Forum. Gente che parcheggia sulle aiuole spartitraffico, utilitarie che annaspano, slittano e si inclinano paurosamente per scalare i cordoli di cemento.
«Dov’è il Sonisphere? Neanche un cartello!»
«Dovrebbe essere da quella parte»
Barbanera ha preventivamente visto in Google maps l’angusta area incastrata tra il Forum e l’autostrada.
«Ma ci sarà pure un parcheggio!»
«Si, tranquilli, c’è quello a pagamento.»
Superano l’anarchia di auto e giovani che bivaccano sotto alberi di città.
Dall’asfalto e dai tetti di lamiera si alzano auree di calore.
Barbabionda apre il finestrino, lato passeggero. L’alito infuocato di “Scipione” inonda l’abitacolo.
«Non si può parcheggiare?» fa Barbabionda all’addetto catarifrangente che impedisce il passaggio.
«Ci hanno ordinato di chiudere il parcheggio. Mi spiace ragazzi, dovete andare avanti e trovarvi un buco.»
Barbabionda si innervosisce, e sfida con la sua Peugeot nuova il pararuote di cemento. L’auto, eroica, si inclina, il leone ruggisce e conquista il parcheggio.
SMS per tre mogli e sei figli: “Arrivati, tutto ok.”
Il sole ormai stanco non s’arrende, ma preannuncia una notte imminente e umida.
Barbanera infila smartphone, soldi e documenti nei tasconi dei pantaloni verde militare, prende il suo zainetto nero e si incammina verso l’area concerti, dove gente converge a piedi da ogni dove. Maglie nere, bracciali di cuoio, tatuaggi, piercing. Tutti felici, nonostante il caldo.
Tra l’industrioso brusio dei bagarini si distinguono ragazzi che gridano “Birraaaa!”, ma nelle grandi bacinelle piene di ghiaccio ci sono già più bottiglie d’acqua che birra.
Molti se le scolano a ridosso della cancellata, perché oltre, con le bottiglie di vetro, non si va.
«Ci siamo ragazzi, ci siamo!»
L’addetto alla sicurezza chiede il biglietto col codice a barre, Barbanera percepisce il benessere dell’emozione.
Sono da poco passate le 18, i cancelli sono aperti dalle 11.30 e molti sono dentro già da ore. C’è musica, la lunga scia del pomeriggio: Hawk Eyes, Three Days Grace, We Are Harlot, Gojira, Meshuggah.
Al posto di controllo Barbanera apre lo zaino, il carabiniere che ci rovista dentro. Felpette, crackers, acqua e fazzoletti di carta.
«Che ci fai con tutte queste maglie?» chiede il militare.
«E’ roba di tre persone» risponde Barbanera indicando i due amici che sono già oltre.
«Hai bottiglie?»
«Si, due, di acqua. Le devo aprire?» A volte ai concerti fanno togliere i tappi.
«Fa vedere.»
Spuntano due bottigliette con il tappo a ciuccia, per lanciare l’acqua direttamente in gola.
«Ok, a posto».
Sono dentro.
Ci sono parecchi ragazzi seduti all’ombra di un muro di containers. Sono quelli già finiti, stupefatti o ubriachi. Una ragazza collassa tra le braccia del suo amico, sul bordo della strada.
Barbanera sbircia in un buco del telo che copre un cancello chiuso con fascette di plastica. Nel buco c’è il palco e un’unica massa di corpi sudati che ondeggia sulla distorsione delle chitarre.
«Guarda adesso perché non ci arriveremo mai lì!», ne è certo Barbabionda.
«Si, impossibile» conferma Barbanera impressionato dalla compattezza della massa.
Si fanno strada verso l’ingresso dell’arena, baldanzosi, tra i tanti ragazzi accasciati a terra che cercano aria e fresco.
Barbanera si ferma dove finisce l’ombra. Ingresso dell’arena.
Chiude gli occhi e inspira aria densa di Metal.
Un passo ed è dentro. Una voce roca apostrofa la folla e una raffica di colpi di batteria fa vibrare l’aria. Gojira.
Barbanera ha di nuovo sedici anni. Gli viene da piangere, però sorride.
Il palco non lo vede. In mezzo al piazzale c’è un gazebo  con scritto “Merchandising” e un traliccio dell’alta tensione.
L’arena è’ una soluzione posticcia: una distesa d’asfalto vecchio delimitata da muri d'acciaio. Container. Da alcuni ne hanno ricavato distributori di birra e hot dog. Sul lato destro c’è una fila di bagni chimici. Le uniche uscite sono il buco dell’entrata e il cancello chiuso con le fascette di plastica.
Non ci vuole pensare, Barbanera. Però ci sono tante persone.
Pantaloni da sotto il ginocchio e t-shirt scure con scritte famigliari, nostalgiche e intramontabili: Metallica, Nirvana, AC/DC, Guns’n Roses. Nonostante i tatuaggi e il look aggressivo si percepisce un‘atmosfera d’amicizia e condivisione.
Guarda i suoi due amici. Sono proprio dei metallari, armonizzati al contesto. Anche senza tatuaggi. E’ incredibile trovarsi lì, con i suoni che ascoltavano assieme vent’anni prima e un’amicizia rafforzata dal tempo.
«Birra o maglietta?» propone Barbalunga.
«Maglietta e poi birra!» risponde Barbanera.
Si avvicinano al gazebo che vende magliette e felpe marchiate Metallica, Faith no More, e avanzi Sonisphere dell’anno prima.
Barbanera cerca la bandana per la sua testa rasata, ma non c’è. Si accontentano di tre magliette del tour dei Metallica, con una cassetta disegnata davanti e le date e le città del tour dietro.
Barbanera fa subito il cambio maglietta, il resto finisce nel suo zaino.
Le bibite prima si pagano e poi si consumano. La coda per la cassa è lunga, quella per ritirare ancor di più, ma la birra è fresca e buona. E ci mancherebbe che non fosse buona… a 5 euro al bicchiere!
Barbabionda si fa strada percorrendo la coda a ritroso con i bicchieri alti sopra la testa. Lo urtano, gocce di birra schizzano sulle spalle dei ragazzi in attesa. Nessuno si lamenta.
Alzano i bicchieri di plastica e brindano alla loro serata.
L’alcol gira subito, spazza via inutili inibizioni e spinge liquidi verso i pori stimolati dal calore che sale dall’asfalto.
Un colpo di chitarra, due tocchi di batteria, la folla si anima e si concentra oltre il traliccio con i mixer e i comandi delle luci.
Barbanera è attratto dal suono, si infila tra i ragazzi con le spalle coperte dai due amici.
Riconosce il ritmo, ma si stupisce per il palco che intravede tra le teste e le braccia alzate: è bianco e pieno di fiori. Anche la band è vestita di bianco. Però nel microfono entra distintamente “Motherfucker”. Faith no More.
La potenza delle casse gli fa vibrare il petto e si insinua tra gli organi dell’addome. Barbanera è felice davvero: le tensioni, compagne di un fastidioso periodo, gli stanno concedendo una tregua, e quest’onda sonora nella pancia è una sensazione che gli provoca un piacevole benessere.
Alza le braccia al cielo e le muove a ritmo di musica, in sintonia con centinaia di altre braccia.
Le gambe si lasciano risucchiare verso il palco finché lo spazio tra i corpi si fa piccino piccino.
Non può avvicinarsi di più. E forse è bene così. Valuta che, se succedesse qualcosa, da quello spazio davanti al palco la folla non riuscirà ad uscire. Alla sua destra qualcuno cerca di forzare il cancello con le fascette di plastica. E’ già piegato verso l’esterno, incapace di contenere un tale volume di corpi concentrati in così poco spazio.
Un tipo lo urta sulla schiena e gli si ferma affianco. E’ un’onda di ragazzi che spinge verso il palco. Inizia un battibecco, qualche testa più in là. Finisce con un “Vai, vai! Vattene a fanculo”. L’onda non se lo fa ripetere e si sposta in diagonale.
Barbanera vi si accoda, si volta un istante, solo per esser certo che Barbabionda e Barbalunga lo stiano seguendo. Avanzano di un’altra decina di passi. Oltre non si può.
Non conoscono le canzoni che sentono. Barbalunga propone: “birra?”
Perderanno il posto conquistato, ma, d’altra parte, manca ancora oltre un’ora ai Metallica. E birra sia.
Abbandonano la posizione.
Secondo giro.
Terzo giro. Barbanera è in coda verso lo spillatore. Dietro a lui una voce stridula strascica parole senza senso. «Sei il mio amore!» dice.
Barbanera si volta. Un ragazzo con il petto glabro e la faccia pelosa si agita tra le file. L’aspetto brutto dell’alcol. Alcuni lo respingono, Barbanera lo ignora.
La voce si fa più vicina: l’idiozia gli fa guadagnare spazio. Ce l‘ha proprio dietro. Barbanera sente il corpo molle che gli si appoggia sulla schiena. Non si volta. «Eh noooooo… nooooo… noooo...» si lamenta quello, con le corde vocali come melassa. Barbanera sente il fiato caldo sul collo. Il ragazzo di fronte a lui se ne va con le sue birre. «Tre birre» chiede Barbanera, facendo vedere tre dita al ragazzo del bar che sposta gli occhi da lui alle sue spalle con un misto di fastidio e preoccupazione. Barbanera sente qualcosa di umido sull’orecchio. Il ragazzo del bar continua a spillare ma dai suoi occhi Barbanera capisce che sta accadendo proprio ciò che teme.
L’istinto prepara i muscoli delle braccia, il torso è pronto allo scatto. Barbanera sa che avrebbe la meglio. E’ l’occasione che aspetta da anni per sfogarsi un po’ e ritrovare i bei tempi in cui non gli bastava lo sguardo per essere rispettato. L’idiota gli appoggia la testa sulla spalla. Ma la ragione ha la meglio: acchiappa i tre bicchieri e si scosta di lato. «Fatto bene, grazie» gli dice il ragazzo del bar che ha letto nei suoi occhi il conflitto tra istinto e ragione. L’idiota crolla addosso al bancone.  
Si chiacchiera, si osserva, si lascia evaporare il sudore.
Barbanera siede nell’asfalto, tra cartacce e bicchieri di plastica sporchi di schiuma. C’è spazio, la musica è più bassa e la luce giallastra del sole che se ne va lascia l’umidità appiccicosa.
Ci sono pochi giovanissimi, la serata va dai venti ai cinquant’anni: una mostra d’arte di pelle tatuata e un’esposizione di zombie vagabondi, allucinati da droghe che non conosce.
Non ha fame, ma forza un pacchettino di cracker, “per far fondo”.
«Andiamo in bagno, prima che comincino i Metallica?» propone Barbabionda.
«Non mi scappa... ma non si sa mai!» risponde Barbanera.
Anche per andare al bagno c’è la coda.
Sente lo sguardo di Barbabionda e Barbalunga mentre attacca bottone con i ragazzi che stringono le gambe per non farsela addosso e lascia il posto alle poche ragazze che con coraggio si contendono il turno nella toilette chimica.
Sorridono, perchè questo è il Barbanera che piace. Senza i freni il contegno del giudizio lascia posto a sensazioni di onnipotenza e armonia con ciò che gli sta attorno, e, come per miracolo, l’ombroso taciturno diventa simpatico, brillante e amichevole.
«Ci siamo» dice Barbabionda a Barbalunga. Fin dall’adolescenza, quello è il momento in cui ci si comincia a divertire.
Barbanera si prepara all’apnea esagerando teatralmente respiri profondi e invitando i primi delle file accanto a fare altrettanto.
Entra nel box di plastica lasciando la porta socchiusa e avviando la sequenza per la liberazione. Si tiene a ridosso della porta indirizzando il getto verso la tazza piena di una fanghiglia d’urina, cacca, carta e vomito. “Per fortuna che non mi scappa da cagare” pensa.
«E’ una passeggiata!» assicura ai ragazzi che attendono il responso all’uscita del box. Il sorriso e il mezzo inchino non lasciano dubbi in merito all’ironia di tanto apprezzamento.
L’autostrada che costeggia l’arena è già immersa in una trepidante penombra.
Barbanera si fa serio e chiede l’attenzione dei due amici: «Ormai sono qui, non ho mai visto i Metallica dal vivo e non si sa se li vedrò più… non posso stare qui dietro. Non vedo niente! Magari spostiamoci al centro e vediamo se riusciamo ad andare un po’ avanti...»
I tre si spostano al centro del piazzale e con pacata indifferenza avanzano in direzione del palco riempiendo il poco spazio che scoprono tra una persona e l’altra. Conquistano un paio di metri e si fermano quando il muro di corpi si fa compatto. Ma il palco è ancora lontano.
All’improvviso il pubblico applaude, molti urlano. Le luci si spengono lasciando il piazzale al buio.
Si accendono i maxi schermi, appaiono immagini di un cimitero desolato e il ghigno sofferente di un cow boy che cerca e fugge. Dalle casse si sprigiona “L’estasi dell’oro” di Ennio Morricone.Il concerto ha inizio,  trentamila diaframmi si contraggono in un’unica sinfonia che fa oho-ohoho-ohoho-o o, sessantamila mani scandiscono il tempo. Si accendono i display dei cellulari.
La musica muore verso una silenziosa attesa. Barbanera si alza sulla punta dei piedi per capire cosa sta succedendo. Nello stesso istante luci rosse innondano il palco e la faccia di James Hetfield appare sugli schermi. Il suo corpo è uno stecco scuro in mezzo al fumo e alla luce rossa. Barbanera non capisce se è realtà o se si trova catapultato in uno degli innumerevoli video che ha visto. Grida scomposte acclamano la comparsa del cantante.
James borbotta qualcosa nel microfono, sembra chiedere l’attenzione del pubblico. Tutti tacciono per ascoltarlo ed è lì che alza l’indice e grida: “Gimme fuel, give me fire, give me that which I desire!”, la batteria esplode, le chitarre impazziscono, le luci vorticano. Un delirio di energia travolge il pubblico e Barbanera si lascia inghiottire nel movimento ondeggiante della massa. Canta, mostra le corna al palco e, come non mai, si sente parte del tutto.
Vede solo ciò che è trasmesso negli schermi, e si capisce che c’è movimento nel palco.
Barbanera quasi inconsciamente sfrutta l’ondeggiare della massa a suo favore e si sposta in avanti. Si volta per assicurarsi che i due amici lo seguano mentre la potenza della musica gli fa vibrare gli intesitni.
E’ con Metal Militia che prende vita il vero pogo. L’ondeggiare diventa una burrasca e Barbanera fluttua in una poltiglia di magliette bagnate e pelle sudata. Non c’è dolore negli urti, solo scivolamento. Una forza incontrastabile lo spinge da dietro e lo fa sgusciare, a fine canzone, un bel paio di metri più avanti.
Si volta e trova il faccione di Barbalunga, un sorriso colpevole gli imperla il volto. Barbanera gli sfodera un sorriso complice e sfrutta il passaggio alla prossima canzone per guardarsi intorno. Non c’è spazio tra un corpo e l’altro. Non c’è via di fuga, ma Barbanera pensa che niente potrebbe farlo fuggire ora che ha i Metallica davanti. E se gli dovesse scappare la pipì potrebbe farsela addosso e nessuno se ne accorgerebbe. L’alcool che ha in corpo toglie il resto delle sue inibizioni e lo fa sorridere ai volti che lo sovrastano.
Si unisce al coro di “For Whom the Bell Tolls” e si lascia sbilanciare in avanti da una nuova spinta di Barbalunga.
Qualcuno viene urtato e si lamenta, Barbanera si volta fingendo fastidio verso quei cattivoni che l’hanno spinto da dietro. Chiede scusa mostrando indice e mignolo in segno di fratellanza. Gli rispondono con indice e mignolo alzati e si diventa amici. Amici finchè il ritmo si alza e Barbalunga lo spinge ancora in avanti. Barbanera tiene le braccia a cuneo e scivola verso il palco, partecipa al pogo e si sbilancia in avanti. Continua così fino a una decina di metri dal palco. Gli cade la mandibola, gli occhi alzati verso il gruppo che si scatena davanti a lui. Due ragazzotti lo prendono in simpatia e gli offrono una sigaretta, lui tira fuori la bottiglia d’acqua e per ringraziare gli spara acqua in testa dal beccuccio a ciuccia. Uno cade, l’altro lo tira su. Se uno inciampa tutti si fermano. Non c’è cattiveria, c’è divertimento, e una sorta di complicità. Sembra impossibile andare ancora avanti, perchè lì il pogo è solo per gli irriducibili. E’ un pogo da ematomi. I più restano indietro. Musica, luci, sudore e movimento. E’ il delirio. Ma il più è fatto. Può arrivare sotto al palco. Si allaccia lo zaino davanti, per ripararsi il ventre, e si lancia nel gruppo. Si lascia spingere di qua e di là. Ce la fa. Sbatte sulla transenna. I primi due metri sotto al palco sono relativamente tranquilli, è gente che è lì dal primo pomeriggio per quel posto.
Barbanera sente due noccioli che gli premono sulla schiena. Si volta e se ne compiace. Alla sua sinistra un bacio saffico sulle note di “Nothing Else Matters”, alla sua destra uno fa da scudo alla sua ragazza circondandola con le braccia. Barbanera si gode oltre un’ora di spettacolo, fino alla fine. Lancio di palloni sul pubblico, lancio dei pletri, lancio delle bacchette. I Metallica salutano, il pubblico chiede il bis.
Per uscire non c’è problema: Barbanera non tocca terra, si lascia trasportare dalla folla. C’è stanchezza, c’è puzza, c’è amicizia e soddisfazione. Un successo. Una storia da raccontare.

lunedì 21 settembre 2015

Comprendere il presente.

Si dice che per comprendere il presente sia necessario conoscere il passato. Vero, ma non esaustivo. 
Cosa succede? Perché certi fatti accadono? Cosa li stimola? C’è un nesso di causalità tra un evento e un altro? Qual è il disegno complessivo? 
Ci deve pur essere un metodo scientifico il cui risultato sia la giusta interpretazione di un evento attuale, o di una serie di eventi contemporanei o in successione nel breve periodo.
Il metodo di comprensione del presente consentirebbe di indirizzare azioni conseguenti verso una popolazione ristretta di ciò che attualmente è ogni possibile futuro. Si tratta quindi di porre limiti all’incertezza per dirigersi verso la miglior combinazione di eventi. Combinazione, però, soggettiva e pertanto atta ad influenzare e ad essere a sua volta influenzata dalla miglior combinazione di altri.
Quindi per avere un senso il metodo di comprensione del presente dovrebbe essere integrato con un metodo previsionale per il ristretto gruppo di possibili futuri. 
Il metodo. Quale arma più potente?
Qualcuno lo ha? Barbanera non crede.
Cerca.

Immagine estratta da: D. P. Rideout and R. D. Sorkin. Aclassical sequential growth dynamics for causal sets. Phys. Rev., D61:024002, 2000.

martedì 5 maggio 2015

La barba

Barbanera ha la barba.
L’ha sempre avuta.
A 13 anni ha tagliato il baffo. Non c’erano altri tredicenni con un baffo come il suo.
A 16 anni faceva pelo e contropelo. Non c’erano altri sedicenni con una barba come la sua.
La barba, in un mondo di glabri, era un fardello ingombrante. Ha provato persino ad usare sul viso una crema depilatoria! Per essere più liscio più a lungo.
(per inciso, NON FATELO! Una parte di peli si scioglie, il resto diventa talmente debole che si piega al passaggio della lametta. Il risultato è un’orribile puzzle di pelo asfissiato e chiazze rosse.)
A 20 anni riusciva a disegnare un look come James, il cantante del suo gruppo preferito.
A 25 anni si è convinto di avere una bella barba, che gli permetteva di tenere il pizzo.
Era di moda.
A 35 anni ha capito: «Se sono nato con la barba vorrà dire che sono un uomo con la barba!»
L’equilibrio della maturità.

Ha resistito una settimana senza raderla, sembrava malato, o un criminale. Ma poi… ragazzi, che barba!
Il fardello è diventato un vanto, la giusta aggressività che mancava al suo volto, il necessario contorno ad uno sguardo profondo.
Era fitta, simmetrica, omogenea e nera.
Ora è fitta, simmetrica, omogenea, nera con striature argentee sul mento e sulle basette.
Barbanera ha scelto il suo stile: dalle guance al mento tra i 6 e i 12 millimetri, con la curiosità di andare oltre per lasciarle libertà di espressione in tutta la sua imponente abbondanza.
Sarebbe il momento buono, ora che va.

La barba...
La barba è una compagna che non ti lascia mai solo, un passatempo nei momenti di ozio, un antistress nei momenti di riflessione, uno scudo nei momenti di imbarazzo, un tocco di stile nei momenti più cool.
La barba precede e identifica.
È una parte di sé di cui prendersi cura: va lavata, asciugata, pettinata, profumata. In principio è una scelta di stile: può essere trascurata con effetto barbone, libera con effetto filosofo o curata con effetto maschione.
Per questo ci sono i giusti prodotti: spazzola per barba, shampoo per barba, balsamo per barba, olio per barba… la barba non è affatto cosa da pigri! E' un vezzo da apprezzare e coccolare. A proposito, per chi non lo sapesse, accarezzarsi la barba è come accarezzare una mascotte pelosa, ma con la curiosa duplicità di accarezzare e sentirsi accarezzati.

Interesserà sapere che a Barbanera piace la barba studiatamente selvaggia, accostata ad un abbigliamento e ad un portamento ordinato e curato.

In internet ci sono un bel po’ di foto e risorse sul mondo della barba, Barbanera consiglia di partire da qui: www.averelabarba.it


mercoledì 25 marzo 2015

Brutto e cattivo? Non lo voglio sapere.

Televisione e giornali sono diventati un mostruoso accumulatore di notizie e approfondimenti sulle peggiori vicende dell’essere umano. Si presentano storie terribili, genocidi, tagliagole, omicidi, suicidi, vittime picchiate o scomparse,.
Apro ora l’home page di un quotidiano locale: ci sono due fidanzati uccisi per vendetta, una bimba di 4 anni molestata dal padre, un’anziana signora alla quale sono state fratturate le dita per rubarle gli anelli, un conflitto a fuoco per rapina, una donna morta dopo un’operazione per dimagrire, un giostraio bastonato, una sedicenne costretta a prostituirsi a politici e imprenditori, due giovani uccisi da pirati della strada, un quindicenne suicida, la badante che raggira un anziano cieco, due missionarie uccise, un lavoratore ucciso dal titolare dell’azienda. E questa è solo cronaca. Non apro siti di approfondimento politico o economico perché non voglio farmi venire l’ansia proprio ora che me ne sono liberato.
Eppure queste sono le notizie che fanno crescere i click. Le trasmissioni che analizzano delitti e misfatti in prima serata sono quelle che tengono lo spettatore incollato allo schermo, che poi animano le discussioni al bar.
Mi chiedo perché.
Cosa c’è di tanto bello nell’infliggersi il male?
Ciò che vediamo e ciò che leggiamo sono stimoli che il nostro cervello acquisisce e trasforma in sensazioni ed emozioni. Dunque a che scopo acquisire stimoli negativi? Perché far proprie atrocità altrui  quando dovremmo invece tendere alla felicità? Non sarebbe più logico cercare buone notizie e parlare di cose belle?
Stessa cosa per le informazioni economiche, politiche e di geopolitica. La vita di tutti i giorni non ci dà già delle preoccupazioni? Il conto corrente sempre più magro, la bolletta che cresce, la scuola che non ha risorse… da comune cittadino sono cose che tocco e che mi preoccupano, perché dovrei anche conoscere le sfighe altrui?
La politica ruba risorse al paese. Lo so. Lo vedo. Non serve che io sappia quanto e chi.
Perché sapere mi fa stare peggio.
L’altro giorno mi han chiesto se ho visto il servizio delle Iene sull’Isis. No, non l’ho visto e non lo voglio vedere. Preferisco restare ignorante.
L’ignoranza mi protegge.
L’ignoranza protegge fintanto che gli argomenti non toccano da vicino, e fintanto che il singolo non può far niente per cambiare le cose, o fintanto che il singolo non decide di partecipare a movimenti collettivi.
Se dovesse toccarmi una tragedia allora affronterei tutto con la massima energia, se potessi risolvere il problema delle pensioni insufficienti allora studierei tutti i casi possibili, se avessi anche la minima possibilità di fermare il fanatismo religioso che degrada in violenza mi informerei e lo farei, se mi trovassi davanti un politico corrotto e potessi obbligarlo a restituire il maltolto lo farei. E così via.
Ma se tutto ciò è al di fuori delle mie possibilità d’azione perché devo interiorizzarlo?
Non si tratta di voler nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, semplicemente si tratta di selezionare gli stimoli esterni per salvaguardare quelli interni, di canalizzare le energie alla ricerca del benessere e della serenità.
Ovviamente la sensibilità è soggettiva.
Io preferisco non vedere i film horror perché mi fanno paura. La paura mi provoca brutte sensazioni, un senso di malessere. Già ho paura se mi capita di aver paura, perché dovrei cercare di aver paura guardando un film?
Non biasimo i produttori televisivi o i giornalisti, ma gli spettatori e i lettori. E’ una questione di domanda e offerta: se nessuno guardasse i film di paura che senso avrebbe produrli?
Insomma, proprio non capisco questa diffusa ricerca del brutto, del cattivo, del male.

E non trovo chi me la spiega.

martedì 10 marzo 2015

Compleanno in Facebook

«Oggi è il compleanno di LadyMart», notifica Facebook.
«Grazie Facebook, ma… chi cacchio è LadyMart?»
Vado a vedere, ah, si. Chi se la ricordava? Le ho dato l’amicizia qualche anno fa, ma non ho mai letto un suo post. Quand’eravamo all’asilo assieme non ho mai festeggiato il suo compleanno… e men che meno dopo.
Vediamo il suo Diario: “Tanti auguri @LadyMart, Auguri, tanti tanti auguri, A U G U R I ! ! !, Auguri! Buon compleanno!, auguri auguri…”
Scorro verso il basso, dopo un paio di pagine condivise e tre foto c’è un salto di un anno, LadyMart ha scritto: “Grazie a tutti per gli auguri”. E più sotto: “Auguri!, Tanti auguri!...”
Anche i miei amici, quelli che frequento il fine settimana le hanno mandato gli auguri, ma so per certo che con questa LadyMart non hanno niente a che fare. E allora, perché le mandano gli auguri? Per cortesia, immagino.
Si, in effetti, Facebook mi ha detto che compie gli anni, quindi farle gli auguri sarebbe normale cortesia.
Auguri indotti, quindi.
Non farglieli però è una presa di posizione.
Che dilemma.
Povera LadyMart, con il Diario pieno di falsi auguri!
E se non dovesse riceverne affatto? Che tristezza! Tutti i suoi duecentoepassa amici sapevano che compiva gli anni e nessuno le ha fatto gli auguri! LadyMart potrebbe iniziare a chiedersi se ha fatto qualcosa di male, o se è proprio così antipatica da non meritare nemmeno gli auguri di compleanno.

Facebook ha stravolto il senso degli auguri di compleanno.

Un tempo eri felice se ricevevi gli auguri: chi te li faceva si ricordava del tuo compleanno, o almeno il tuo compleanno meritava un posto in agenda.
Oggi sei tu, o meglio, è Facebook per te, a comunicare al mondo che è il tuo compleanno. Non saperlo non è più una giustificazione. E chi non ti fa gli auguri pur sapendolo? E' proprio stronzo! E chi fa gli auguri al tuo amico e non a te? Ancora più stronzo!

Per evitare ai miei contatti di sentirsi in dovere di scrivere “Auguri” nel mio Diario, ho impedito a Facebook di pubblicare il giorno del mio compleanno.
E nonostante ciò qualche telefonata, o sms, lo ricevo ancora! Caspita, ho ancora degli amici!
Per non fare differenze da un paio d’anni non faccio più gli auguri tramite Facebook. Mi spiace non dar soddisfazione a quelli per cui il numero di messaggi è misura di popolarità, spero non se la prendano a male gli amici ai quali non ho fatto gli auguri in Facebook.
E comprendo lo stupore di coloro che ricevono da me un antidiluviano sms, o, meglio ancora, una telefonata d’auguri.

«Oggi è il compleanno di LadyMart»
Ma è così distante da me che è molto improbabile che ci si incontri. Non ho neppure il suo nome in rubrica.
Non ci fosse stato Facebook, mannaggia, non mi sentirei nemmeno in colpa! 



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Cercando un'immagine per questo post finisco in questa pagina e convengo che, in effetti, Facebook ci sta cambiando la vita.